Di Giancarlo Polenghi e Fabio Carlo Ferrari
Il breve saggio di Jacqueline Morineau, “La mediazione
umanistica” è un libro semplice, chiaro e potente, in grado di stimolare
riflessioni profonde. Frutto di oltre trent’anni di attività di mediazione in
ogni ambito, dal penale al civile, dal familiare all’internazionale, il volume
spiega che cosa sia la mediazione umanistica e come funziona. Leggerlo dopo
aver avuto la possibilità di trascorrere due giorni di seminario con la stessa
Morineau, che di questo metodo è l’ideatrice, è una condizione felice. Il libro assomiglia alla sua autrice: una donna minuta, con
lo sguardo vivo e una grande capacità di ascolto. Una personalità forte e
armonica, riflessiva ma tutt’altro che cerebrale, accogliente, immediata,
gentile. Si vede subito che ciò che è scritto nel libro, e ciò che insegna nei
seminari, è ciò che vive. Il suo approccio alla mediazione è molto ambizioso,
si punta a stimolare un nuovo sguardo sull’avvenire, ad aprire una porta sul futuro. Per fare questo offre uno spazio di
ascolto al grido interiore che ogni conflitto porta con sé, il grido causato da
ferite profonde e spesso antiche. Questa fase, che è la più lunga in termini di
tempo, è denominata crisis e segue
l’introduzione in cui i due medianti (ossia le parti in conflitto) illustrano
il loro problema. Per aiutare i medianti a togliersi la maschera, ossia a dire
la loro verità per intero, i mediatori (che agiscono sempre in gruppo, da due a
cinque) svolgono la funzione di specchio. Dicono con semplicità quello che
sentono, a livello emotivo, in modo graduale e accompagnando i medianti in un
percorso di approfondimento. Per esempio si può dire: “Io sento: stanchezza” a
fronte di un racconto che parli di un conflitto prolungato, e con questo
piccolo aiuto esterno si può verificare se l’uno o l’altro, o entrambi, dicano
di più e vadano più a fondo. I mediatori ascoltano con attenzione, non
giudicano, entrano in empatia con la sofferenza per permettere a essa di uscire
il più possibile allo scoperto. L’ultima fase della mediazione consiste nel
riconoscere un nuovo qui e ora che
emerge proprio dalla consapevolezza dei vissuti portati allo scoperto. Se i
medianti sono stati aiutati a parlare e ad ascoltarsi può nascere un nuovo
sguardo. Come la tragedia greca, la mediazione umanistica, si svolge in tre
atti: introduzione, crisis, catarsi.
La partecipazione al seminario è stata importante per
comprendere meglio questo approccio alle relazioni conflittuali: a turno i
partecipanti hanno proposto i loro conflitti e hanno potuto sperimentare il
ruolo di mediatori oppure semplicemente di pubblico che assisteva al processo.
Jacqueline Morineau sostiene che la
mediazione umanistica è scavare dentro l’anima e che la cosa più importante
in essa è il cammino che si può fare insieme. Infatti il cambiamento avviene
sia tra i medianti che tra i mediatori, che con questa attività conoscono
meglio se stessi. L’ambizione è saper entrare in contatto con il corpo, con
l’anima e con lo spirito, in un viaggio di verità, bontà e bellezza. Una difficoltà
che incontrano i mediatori in questo percorso è saper ascoltare in modo vero e
profondo, senza giudicare e senza farsi condizionare dalle proprie categorie
mentali e dal ragionamento. Gli studi pregressi in psicologia o sociologia o
filosofia o giurisprudenza possono essere un impedimento all’ascolto semplice e
profondo, possono costituire una sorta di rumore assordante che impedisce di
percepire. Jacqueline ha spesso fatto riferimento alla necessità di sentire con
il cuore, tagliando la testa. Nella mediazione umanistica non c’è nulla da
capire, ha detto, bisogna solo essere. In altre parole passare dalla rappresentazione alla relazione. Per questo essa non
è una tecnica ma un cammino per
un’umanizzazione reciproca.
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