Coronavirus, conflitti, e capro
espiatorio
(Giancarlo Polenghi)
La pandemia del Covid-19 ha
profondamente toccato la nostra vita, di tutti, e non solo, seppur in modo più
profondo e doloroso, delle vittime e dei loro cari.
Ci siamo trovati impotenti
di fronte ad un nemico invisibile, facilmente trasmissibile e mortale.
D’improvviso la scienza e la tecnologia hanno mostrato i loro limiti.
Ci siamo sentiti minacciati,
in pericolo, abbiamo avuto paura e, in molti casi, è stata proprio la paura, e
la difficoltà a darci una ragione di ciò che stesse accedendo, a scatenare il
conflitto dentro e intorno a noi, un conflitto innescato da accuse, alla
ricerca di colpevoli (se non della pandemia stessa, almeno della sua gestione)
e, in definitiva, alla ricerca di un capro espiatorio.
Le autorità, in Italia e nel
resto del mondo, bene o male, hanno tentato di reagire, stabilendo nuove regole
di comportamento (l’unica cosa che potevano fare) per il bene di tutti. E il
conflitto si è scatenato subito, anche contro di loro, perché hanno imposto
regole troppo rigorose (come in Italia) o troppo poco rigorose (come nel Regno
Unito o negli USA).
Un conflitto su tutti i
fronti, delle idee e delle visioni della vita: per esempio il bene della salute
e della vita, contro il bene dell’economia e del lavoro. Tutt’ora si discute su
questo punto.
Un conflitto globale e
internazionale tra gli “untori” e le vittime, tra la Cina dove il morbo è
partito (da un laboratorio? dal mercato alimentare?) e gli Stati Uniti, dove ha
registrato il numero più altro di vittime.
Ma anche a livello nazionale
il conflitto è esploso tra maggioranza e opposizione, tra governo centrale e
Regioni, tra paesi d’Europa più colpiti (Italia e Spagna, almeno all’inizio) e
quelli che invece pare non si rendano conto della portata della crisi e delle
possibili ricadute, anche economiche, sui loro sistemi che, in apparenza, sono
più ricchi e solidi. Un conflitto tra le povere vittime (noi) e i ricchi
“fortunelli” (la Germania, l’Olanda), che non vedono perché debbano “pagare per
gli altri”.
A livello sanitario poi si è
innescato un conflitto tra gli ospedali pubblici, pieni di “eroi” e le
strutture sanitarie private che si occupano di anziani e di persone fragili,
che in effetti hanno registrato un altissimo numero di vittime, e che sono
sotto la lente d’ingrandimento delle procure. Conflitti anche tra Nord e Sud, e
al Nord tra il modello Lombardia (che ha funzionato male) e il modello Veneto
(più efficiente).
Chi sono i “veri colpevoli”,
se ce ne sono? E chi sono i capri espiatori? Dove sono le responsabilità? E a
quando risalgono?
Leggere il conflitto tra
opposte visioni è doveroso, e necessario, per imparare, e per sbagliare di meno.
Ma bisogna anche fare attenzione ai possibili capri espiatori perché accanirsi
su di loro è inutile (se non per l’equilibrio psichico di chi si scarica di
colpe e responsabilità) e certamente ingiusto.
Da tempo immemore, quando si
registrava un problema grave o una minaccia, per esempio quando una nave era in
tempesta, e non si sapeva più che cosa fare, si è sempre cercato un “capro
espiatorio” ossia un colpevole da sacrificare agli Dei, con la speranza che ciò
servisse a placare la situazione. Scaricare tutte le “colpe” su qualcuno è
facile e indolore. Che poi la cosa serva davvero è un altro paio di maniche.
Ritenere che il morbo sia
nato da un errore umano è di certo più rassicurante rispetto a pensare che si
tratti di una mutazione genetica naturale, che potrebbe ripresentarsi mille
volte senza che noi si possa fare nulla per impedirlo. Certo sarebbe utile,
soprattutto, sapere quale delle due teorie è vera. Ma certamente, il capro espiatorio,
che in questo caso sarebbe “l’errore umano”, diventa un dispositivo molto più
rassicurante per tutti.
Se è vero che il conflitto
si innesca con più facilità lì dove ci sia paura, minaccia dall’esterno, lì
dove persino gli spazi di convivenza diventano più “stretti” (l’incremento di
casi di violenza nelle mura domestiche parlano chiaro), è però anche vero e possibile
uno sviluppo del tutto diverso come testimoniano i molti manifesti che recitano
“Insieme ce la faremo” “andrà tutto bene se stiamo uniti”. Perché la paura,
l’ignoto, il pericolo possono anche far nascere alleanze, sodalizi, capacità
rinnovate ad intendersi, mettendo da parte le divisioni, come pure si è visto
fare in questo periodo. Un esempio pubblico è l’appello dell’Alto Comitato per
la Fratellanza umana, ripreso anche da Papa Francesco, di chiedere alle diverse
religioni del mondo di unirsi il 14 maggio 2020 in una preghiera a Dio,
ciascuno a suo modo, implorando per la fine di questa e di altre pandemie.
Insomma, il coronavirus è
stato (ed è tutt’ora) anche un moltiplicatore di sentimenti e di emozioni,
causando una conflittualità rinnovata e amplificata, e insieme è, un
dispositivo che facilita relazioni, condivisione e alleanze più forti e
profonde. In questo momento abbiamo visto famiglie che si dividono da una parte
e famiglie che ritrovano l’armonia e il piacere di essere unite dall’altra, comunità
che cadono a pezzi e altre che si rafforzano con un rinnovato senso di
appartenenza e di sintonia.
Da parte nostra, come studiosi
del conflitto e delle sue possibili risoluzioni, abbiamo avuto la conferma
dell’importanza di apprendere la forza dell’ascolto, di saper utilizzare le
strategie opportune per accettare e superare il conflitto, quando esso è
inevitabile, ma sempre con intelligenza emotiva, e capacità di lettura al di là
delle apparenze.
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